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Un'intervista al mensile MAX , gennaio 1999
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Enki Bilal : un'intervista
al mensile MAX, gennaio '99 |
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I
suoi disegni e le sue storie sono tristi ed angoscianti e raccontano un
futuro per uomini e donne senza pace e senza amore. Lui invece è allegro,
ama il cinema e la musica, sorride sornione e va in giro mordicchiando un
sigaro.
Max lo ha strappato alle sue ossessioni di fantascienza: ecco l’altra
faccia di Enki Bilal.
Di Valentina
Agostinis. Foto di Pino Ninfa. |
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La
galleria è quasi deserta, quando arrivo alle 4 del pomeriggio per
l’appuntamento con Enki Bilal. Ho tutto il tempo per gustarmi in
silenzio le tavole esposte alle pareti, fuori ho lasciato uno di quei
cieli uggiosi che pesano d’autunno a Parigi e qui dentro bastani poche
occhiate ai colori che mi circondano, per completare l’atmosfera un
po’ cupa di questa giornata. I disegni di Bilal, tratti dal suo ultimo
libro Il sonno del mostro (Alessandro Editore, per l’Italia buona parte
dei quali destinati alla grande mostra di Palazzo Bagatti Valsecchi, a
Milano, aperta fino al 7 febbraio ’99), sono finestre su mondi solo
apparentemente lonatni nel tempo, il futuro livido che rappresentano è già
qui tra noi, nello scempio della natura, nei venti di una guerra assurda
che soffiano su quella regione martoriata che è la ex Jugoslavia, dove
Bilal è nato, a Belgrado, 47 anni fa. In un angolo della sala mi gusto le
tavole più cupe, appena illuminate dalle fiammelle dei lumini accesi,
quando arriva l’autore in una scia di aria umida di pioggia.
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“Qui
ci sono 99 disegni, nel libro 280. La tecnica ? Acrilico, pastello,
inchiostro, ma ho cambiato molte cose per questo libro: prima disegnavo
ogni tavola su una pagina intera, ora faccio un montaggio di tanti piccoli
pezzi. E’ la mia esperienza nel cinema, si impara a costruire una storia
per ellissi”.
Già,
il cinema, ma anche la memoria è fatta di piccoli frammenti, come quelli
che lentamente affiorano nella mente di Nike, il personaggio principale di
una storia che è impossibile definire “a fumetti”, per l’intensità
della scrittura, la forza plastica delle immagini. Nike come “una marca
di scarpe che andava di moda nel secolo scorso” portate da un
combattente ucciso da un cecchino, a Sarajevo nell’estate torrida di
bombe nel ’93.
Sei tu
Nike, è la tua voglia di ricordare un Paese che hai lasciato da bambino e
travolto in questi anni dalla guerra ?
“In un certo senso
si: ho provato a immaginarmi disteso su un letto d’ospedale, il buco di
una granata sul soffitto, cercando di capire che cosa si potesse sentire,
non come un neonato, ma come essere umano. La guerra , quindi, come rumore
e odore di carne e sangue. Ma ho deciso che tutto questo sarebbe passato
solo nella scrittura: non ho voluto mostrare le immagini della
carneficina, sarebbe stato volgare, senza rispetto. E’ nei ricordi di
Nike, quella guerra, nella memoria di un bambino che nasce durante
l’assedio.” |
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I
remember, comincia così la storia, ambientato nel 2026, dove si vedono
macchine volanti come in Blade Runner e Il quinto elemento, dove le
persone convivono con i loro doppi tecnologici, in una confusione
d’identità e di valori, senza alcuna differenza tra bene e male, solo
la lotta feroce per la sopravvivenza. Due sono anche le guerre del secolo
che si ripetono: quella balcanica, a Sarajevo, col suo Viale dei Cecchini
n.2, e quella della Palestina. Tutto ritorna come prima, quindi, non
finisce mai, è un futuro terribile, davvero non credi in nessuna pace
definitiva ?
“Vorrei crederci,
ma prova a pensare: dopo la shoah, lo sterminio degli Ebrei, credevamo che
mai più si sarebbe potuto uccidere per ragioni religiose o etniche.
Cinquant’anni dopo c’è stata la Jugoslavia. E’ successo ancora, non
si è mosso niente. Non sono pessimista, sono realista, lucido. E’ un
problema di memoria collettiva, per questo nel mio libro la memoria
individuale di Nike coincide con quella di un secolo.” |
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Sarajevo
quindi, come luogo simbolo dell’era moderna, della sua parte
oscura: Non dimenticatevi di Sarjevo ! Ma non pensi che troppa
memoria possa anche uccidere, bloccare la vita ?
“C’è il
rischio che la gente si faccia divorare dai propri ricordi e dalle
proprie radici, è vero, ma io parlo di qualcosa di universale, non
di egoismi individuali.”
Anche sulla scienza fomenti molti dubbi: certe creature
a metà tra l’organico e il tecnologico sono dei
mostri.
“C’è
l’aspetto buono e quello cattivo della scienza, può pendere da una
parte o dall’altra, ogni scoperta scorre su una linea sottile. E’
rischioso ed eccitante il nostro futuro.”
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Scoppia per la prima volta in una risata, che a questo punto del discorso
non poteva che essere la benvenuta.
Già,
divertente questa specie di apocalisse che ci presenti !
“La visione
apocalittica è eccitante, specie per gli artisti. Un bel cielo blu,
certo, mi piace ! Ma è molto più interessante dipingere un cielo
blu, dopo che lo si è dipinto di nero.”
A proposito, non c’è neanche un filo d’erba, né un fiore, nel
mondo di Nike e dei suoi amici, mancano i vegetali, ci sono solo
città e deserti.
“Il deserto
non cambia mai, è sempre uguale a se stesso. Ma prometto che nel
prossimo libro ci sarà del verde” |
Sorride
sornione, mordicchiando il mezzo sigaro ormai spento. Sì, perché Il
sonno del mostro è solo il primo di un’altra trilogia che Bilal si
appresta a completare, nei prossimi anni; Nike, Leyla e Amir, i tre
neonati orfani dell’assedio di Sarajevo, ognuno con speciali qualità
che li aiutano a sopravvivere in varie parti del pianeta, avranno modo di
incontrarsi da adulti, di intrecciare le loro storie.
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Tra guerre,
fondamentalismi e catastrofi ecologiche, Bilal sembra conservare fiducia
solo nell’amicizia e nell’amore, sentimenti che uniscono seppur a
distanza i suoi tre personaggi, grazie a quelle radici comuni e speciali
che affondano nell’assedio di Sarajevo.
“La cosa più importante sono i rapporti tra le persone e l’amore di
cui tutti hanno bisogno. Nel prossimo album svilupperò questo aspetto del
futuro, ci saranno intrecci tra questi personaggi e altri ancora. Ma non
ci sarà più alcun riferimento alla Jugoslavia, perché Nike, Leyla e
Amir ormai appartengono al mondo.”
I
ricordi di Nike quindi, costretto da una memoria fenomenale a
ricordare le ombre dell’ospedale assediato, con accanto altri due
neonati di etnie diversi con cui allaccia un legame di amore e
amicizia che va oltre il tempo e lo spazio, si fermeranno al suo
primo giorno di vita. Sono tentata di chiedere a Bilal qualcosa
delle sue donne, bellissime e tristi, come perfettamente consapevoli
che nulla potranno con il loro corpo perfetto, senza
l’intelligenza e il coraggio: esseri androgini, forti e dolci,
spietati e impassibili, donne in amore e donne di ghiaccio. Ma è già
tutto chiaro nel tratto di Bilal, così preferisco scherzare sui
nomi “a chiave” degli uomini che rappresentano il potere, come
lo scienziato Warhole, una specie di artista del male che fabbrica
copie di esseri viventi, per controllarli digitalmente. |
“Lui
è come uno di quei personaggi cattivissimi che stanno nei film di James
Bond, sì quei boss della Spectre. Non volevo fare dello humour, solo
alleggerire un po’”.
O il cognome di Nike, Hatzfeld, lo stesso di un famoso giornalista di
Liberation che Bilal ha incontrato in una notte di neve a Bucarest, dopo
la caduta di Ceausescu, e ha fatto poi l’inviato di guerra dai Balcani.
“Per Nike volevo un
nome che non fosse né serbo, né croato, né musulmano: Hatzfeld era
perfetto.”
Il controllo sugli uomini attraverso la tecnologia è molto presente in
tutti i tuoi lavori, tu la tecnologia la controlli, o è lei che controlla
te ? |
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“Cerco di
controllarla. Nei miei film l’ho usata con parsimonia, gli effetti
speciali costano troppo, e alla lunga sono noiosi.”
Sei di quella generazione che certamente ha divorato i libri di Philip K.
Dick, che cos’altro c’è nel tuo bagaglio letterario ?
“Tanti altri autori
importanti di fantascienza, americani, inglesi, fino ad Asimov. Qui in
Francia l’ambiente letterario snobba libri di questo genere, c’è solo
l’oggi e lo ieri, mai il domani. Credo sia perché questi scrittori di letteratura “seria” non riescono a
scrivere di un tempo in cui loro non esisteranno più.”
Eppure
c’è qualcosa di letterario nel tuo testo, nel tono di voce di
Nike, nella costruzione narrativa, così moderna, con scatti
temporali, pluralità di voci e materiali ecc.
“Be’, oltre a Dostoevskij, leggo anche contemporanei che
scrivono, diciamo così, di temi “classici”, sui sentimenti, le
relazioni interpersonali, ma mi deve piacere lo stile, prima di
tutto, altrimenti non riesco ad andare fino alla fine.”
Di che cos’altro ti nutri ?
“Vado molto
al cinema, anche se oggi non c’è molta creatività
nell’industria, non ci sono più i Fellini, insomma. Mi piace la
fotografia e la musica è importantissima.”
Che tipo di musica ?
“Tutta ! Una
volta c’era solo il rock, poi anche il jazz, ora ascolto la
classica, ma anche la techno, il rap, mi interessa tutta. Uso tutto
quello che posso, assorbo come una spugna.”
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Che
musica hai usato come sottofondo per il tuo libro ?
“C’è molta
radio, musica dal vivo, compresi i notiziari e la pubblicità.”
Faresti mai come ha fatto Moebius con Blade Runner e Il quinto elemento,
cioè di lavorare al design di un grande film ?
“No, assolutamente. Preferisco fare un film
piccolissimo, ma di cui sono l’autore. Ho lavorato solo
una volta, tanti anni fa, a un film di Michael Mann. E da
Ridley Scott, prima che cominciasse Blade Runner, ho ricevuto molti
complimenti e un grazie per tutto il mio lavoro.”
Parigi ti stimola, dal punto di vista creativo, o vorresti essere altrove
?
“ Va bene, ma sarei
in grado di vivere in molti altri posti. A New York, per esempio, o a
Londra, che mi piace molto. Ho conosciuto troppo poco Los Angeles, ma mi
piace San Francisco, dell’America adoro le città, non la provincia.
Anche l’Italia mi affascina, Napoli per esempio. Con tutti i suoi
contrasti.” |
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Viaggi
parecchio, hai bisogno di vedere molto, per disegnare e scrivere ?
“Si,
mettiamola così. Finita la promozione del libro, me ne vado in
Oriente: Thailandia.”
Sei più tornato in Jugoslavia ? (Ecco, lo sapevo, cambia
espressione e si irrigidisce un po’. Eppure non gli ho fatto
quella domanda odiosa: serbo, croato o musulmano ?, cui Nike nel
libro si rifiuta sempre di rispondere).
“Certo che ci
sono tornato.”
Durante
la guerra ?
“No, ma dopo la
guerra c’è stata una mostra di miei disegni al centro culturale
francese di Belgrado, dove ho anche presentato il mio film. E prima del
conflitto sono stato ovunque, a Belgrado, a Sarajevo, a Dubrovnic. Mi
piace quel paese.” |
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Mi chiedevo se hai mai sentito il desiderio di tagliare definitivamente
con le tue radici.
“No, ma qualcosa di
sicuro è morto. Non so che cosa, ma dentro di me se ne è andato per
sempre.”
Ora la galleria si è riempita e Bilal deve rispondere ai complimenti dei
visitatori e alle occhiate delle sue numerose ammiratrici. Parlotta per un
po’ con qualcuna, poi ritorna e io ho solo il tempo di dirgli: “Certo
sei diverso, di persona, dai libri sembreresti angosciato, triste, invece
…”. Mi saluta con una risata dicendo: “Ci
vediamo a Milano in dicembre, per la mia mostra.”
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Per
le immagini, i testi : © Enki Bilal
,
Valentina
Agostinis,
Pino Ninfa ; MAX
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Risoluzione
consigliata : 1024x768 ; colori : true color (32 bit) |
Ultima
modifica :
06/01/15 19.15.55 |
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