Napoli,
29 novembre 2001. Quando arriviamo al
luogo dove si svolgerà l'incontro, la sala è talmente gremita che
riusciamo a farci strada con difficoltà. A occhio e croce ci saranno
cinquecento persone, e manca quasi un'ora all'inizio. Gli studenti si
accalcano intorno a Banana
per farsi rilasciare un autografo, parlarle, chiederle di posare per
una foto insieme
a loro. Assistere a questa scena è piuttosto impressionante. Penso ai
miei colleghi che si lamentano spesso del fatto che "i giovani
non leggono". Sono gli stessi che non apprezzano per niente
Banana e non capiscono il motivo del suo successo. Ma nel vedere
questi ragazzi che fanno di tutto per strappare a Banana una firma o
un sorriso, si capisce che questa scrittrice
che racconta solo di morte e solitudine, suscita in loro un rapporto
di identificazione che oggi molto di rado la letteratura riesce a
provocare. C'è qualcosa che va certamente al di là del fenomeno
commerciale e del numero di copie vendute.
Finalmente raggiungiamo il palco. La portiamo "dietro le
quinte". Quando annuncio il suo nome e lei esce dalla tenda, c'è
un boato di applausi, come per una rockstar. È la prima volta che Banana
parla in una università. Non lo ha mai fatto prima, né in Giappone né
all'estero. Invitata dalla Japan
Foundation a partecipare a degli incontri
in Italia, oltre all'Istituto Giapponese
di Roma ha accettato di parlare solo qui
all'Istituto Universitario Orientale.
Università a parte, non ha comunque parlato spesso, nemmeno in altri
luoghi, perché non ama farlo. Anche di interviste ne ha rilasciate
pochissime, e quando risponde alle domande dei giornalisti le sue
frasi sono quasi sempre molto laconiche, a volte un semplice "sì"
o "no", e molti "non so". Oggi è diverso. Il
calore e l'energia della sala hanno l'effetto di scioglierla, e Banana
sembra a un passo dal lasciarsi andare e lanciarsi in una lunga
chiacchierata. Così sembra, ma quando si avvicina al confine si
ferma, senza mai attraversarlo. C'è però tanta grazia nel suo
riserbo che sarebbe un peccato forzarla, insistere più del
necessario. Banana parla di sé, spiega, ma non troppo, e il suo
mistero resiste, impermeabile anche a questo bagno di folla, alle mie
curiosità e a quelle degli studenti ai quali, a un certo punto, cederò
la parola.
In una tua recente intervista ho letto
una frase che mi ha colpito molto. Diceva più o meno: "Se i
libri di poesie di mio padre si sposassero con i libri di haiku di mia
madre, nascerebbero i libri che scrivo io". Puoi commentarla?
Un tempo non pensavo di poter essere influenzata dai miei genitori, mi
sono resa conto che è così solo da poco tempo. Sulla terra mio padre
e mia madre si sono sposati e sono nata io. In uno spazio diverso
(indica un punto imprecisato, verso l'alto) è come se il mondo dei
pensieri di mio padre e quello di mia madre si fossero accoppiati, e
fosse nato il mio.
Nei tuoi libri si parla spesso di
famiglie disastrate e di morte. I
giornalisti, quando ti intervistano, sono sorpresi di scoprire che la
tua famiglia è unita e che non hai alle spalle storie di gravi lutti.
Viene da chiedersi allora da dove viene questa sensibilità per il
tema della crisi familiare e del lutto così ricorrente nei tuoi
libri.
Viene da dentro. È una cosa che ho sempre avuto. Certe esperienze si
possono vivere anche solo internamente, senza che fuori si veda
niente.
In una delle tue ultime interviste dicevi
che leggi pochi romanzi. So però che ci sono degli scrittori che
hanno avuto importanza nella tua vita. Non hai mai amato i romanzi
oppure hai perso interesse per il romanzo negli ultimi tempi?
Ho sempre letto poca narrativa, A me piace leggere cose scritte da
persone che non sono letterati. Mi piace leggere i libri scritti da
scienziati, ingegneri, gente che scrive usando altri linguaggi, cose
pratiche e sconosciute da cui posso imparare molto.
Hai sempre detto che hai deciso di
diventare una scrittrice sin da bambina, se non sbaglio a cinque anni.
Ma di solito chi da piccolo sogna di scrivere, ama molto anche la
lettura. Per te non era così?
Sì, avevo cinque anni quando ho deciso che sarei diventata una
scrittrice. Non ho mai cambiato idea, anche se non ho cominciato
subito a scrivere. Aspettavo, forse mi preparavo. Mio padre (il padre
di Banana, Yoshimoto Takaaki, è uno dei più noti intellettuali
giapponesi. Saggista e poeta, ha esercitato un'enorme influenza sulla
generazione "impegnata" e di sinistra tra gli anni sessanta
e settanta) aveva tantissimi libri. Tutte le pareti di casa nostra
erano rivestite di libri, così forse per reazione non li amavo. C'è
anche il fatto che avevo così chiara questa aspirazione a scrivere, e
avevo la sensazione che se avessi letto troppi romanzi mi sarei
riempita
delle cose di altri, mentre io volevo tirar fuori le mie. E poi è
anche un fatto generazionale. Io appartengo a una generazione che ha
letto soprattutto manga, guardato film, ascoltato musica.
Non c'è proprio nessuno scrittore che tu
abbia amato, giapponese o straniero, o ti abbia influenzato?
Tra i giapponesi ho letto soprattutto Dazai Osamu, quando ero al
liceo. Ma se devo dire uno che mi abbia influenzato, l'unico che mi
viene in mente è Isaac Bashevis Singer. Lo considero un grandissimo
scrittore.
E Miyazawa Kenji? Ho notato alcuni
passaggi nei tuoi libri che secondo me rivelano la sua influenza.
Non saprei. Naturalmente è tra quelli che ho letto. Era una persona
così particolare, unica. La cosa che mi ha sempre colpito in lui è
il suo amore per la natura. Lui che non si è mai sposato e ha fatto
una vita castissima, aveva per la natura un amore incredibile, direi
quasi morboso.
Ho sentito spesso dire ai tuoi fan che
leggendoti si sono sentiti per la prima volta capiti e accettati, che
hanno trovato espresse per la prima volta cose che sentivano e che non
erano mai riusciti a dire. Forse anche a te è successo, come lettrice
o spettatrice di film, di provare questa sensazione nei confronti di
qualche artista? Chi?
Quando lo dico, molti lo trovano strano, ma è Dario Argento.
Puoi provare a spiegarci che cosa ti
danno i suoi film, e raccontarci se ricordi quando hai visto una sua
pellicola la prima volta e l'impressione che ti ha fatto.
Da bambina mi sono sempre sentita diversa. Avevo una visione nella mia
mente che pensavo fosse sbagliata, non c'entrasse niente col mondo.
Pensavo di essere pazza. Ero terribilmente sola. Quando verso i
quattordici anni ho visto Suspiria di Dario Argento, per me è stata
un'esperienza incredibile. Tutto il mondo che avevo nella mia mente e
che mi separava dal mondo degli altri, era lì, in quei colori e
quelle immagini, già completo e perfettamente formato. Capii che non
ero pazza, non ero più sola. Quando lo dico, alcuni storcono il naso,
forse perché non considerano Dario Argento un grande artista. Ma io
penso che forse, se non avessi visto quel film e non
fossi uscita dal cerchio della mia solitudine, avrei finito per
uccidermi.
I personaggi dei tuoi libri non sono mai
persone cattive e crudeli, ma a volte la violenza, anche se
distanziata, è efferata, come nel caso di Honeymoon con la setta di
persone che lasciano morire dei bambini per poi divorarli. Pensi di
subire in qualche modo il fascino della violenza?
No, non credo. Se ti riferisci anche ai film di Dario Argento, la
rappresentazione artistica della violenza è una cosa completamente
diversa
dalla violenza reale, dalla violenza della guerra.
In confronto a un altro scrittore
giapponese anche lui molto famoso, Murakami Haruki, è molto più
forte in te il rapporto con la bellezza del Giappone tradizionale.
Anche se le tue protagoniste non vestono in kimono e non vanno a
vedere il kabuki lo si sente nelle descrizioni della natura o di
luoghi come Narita (non l'aeroporto, ovviamente, ma il tempio e la
strada
che conduce al tempio), e anche nella tua scrittura. Tu cosa ami del
Giappone tradizionale, e che parte ha nella tua vita di tutti i
giorni?
Ho imparato anch'io a fare la cerimonia del tè (ride).Del Giappone
amo soprattutto la natura. In Giappone ci sono le stagioni... sì lo
so, ci sono dappertutto, ma da noi i cambiamenti delle stagioni sono
così delicati e sottili come credo in nessuna parte del mondo. Mi
piace la finezza dei
particolari della nostra natura questo è legato alla tradizione,
perché è un po' lo spirito del bonsai: microcosmo e macrocosmo,
quella roba lì. Non spazi immensi, ma un piccolo giardino con foglie,
rami, tutto in piccolo e tutto avvolto dalla luce giapponese.
L'occulto è uno dei grandi temi dei tuoi
romanzi, al punto che uno dei volumi delle tue Opere scelte
(pubblicate solo in Giappone) si intitola proprio così, Occulto. Qual
è il tuo rapporto con il paranormale? Sei solo affascinata dagli
eventi soprannaturali o ci credi veramente?
Ci ho sempre creduto. Mi sono sempre capitati piccoli episodi del
genere nella mia vita di tutti i giorni. Niente di eccezionale come
vedere fantasmi o piegare le forchette. Piccole cose, come fare sogni
che si avverano, pensare a una persona che non sento da molto tempo, e
in quel momento squilla il telefono ed è lei, capire cosa sta
pensando qualcuno... Non so se si possano definire episodi
paranormali. Infatti per me sono normali.
Gli animali. La morte di Olive in
Honeymoon è una delle pagine più belle che siano state scritte sulla
morte di un cane. Mi viene in mente la morte del cane Karenin
nell'Insostenibile leggerezza dell'essere. Vuoi direi qualcosa sul tuo
rapporto con gli animali?
Li amo da morire, ho un rapporto morboso con gli animali, un po' come
Miyazawa Kenji lo aveva con la natura. Ho due cani, tre gatti, una
tartaruga. Occupano la mia casa, e la mia vita. A causa degli animali,
io e mio marito evitiamo di viaggiare troppo a lungo, non ci
allontaniamo mai da Tokyo per più di una settimana.
La musica. In molti dei tuoi romanzi citi
brani musicali. Che ruolo gioca nella tua scrittura?
Non hanno molta importanza le citazioni, a volte sono casuali. Di
solito però un racconto o un libro è legato a un brano o a un disco
che ascolto ossessivamente mentre scrivo. Ogni romanzo ha una sua
musica.
Puoi fare un esempio?
Adesso non mi viene in mente niente... Mi piace ascoltare John
Frusciante, i Red Hot Chili Pepper... (caloroso applauso del
pubblico).
(Adesso lascio la parola agli studenti. Da questo punto in avanti le
domande
sono le loro.)
Nei suoi libri si parla spesso di
sessualità irregolare: omosessualità, transessualità eccetera. È
una rappresentazione metaforica delle ambiguità del Giappone
contemporaneo?
No, no, no. La ragione è che in Giappone le persone diverse sono
molto discriminate. Siccome io ho sempre trovato completamente
naturale il loro modo di essere, volevo fare qualcosa per far sì che
anche gli altri li sentissero naturali.
Nel racconto Moonlight Shadow c'è una
scena che mi ha molto colpito. Il protagonista conosce una ragazza,
Urara, che le fa magicamente incontrare il suo ragazzo, morto in un
incidente stradale. Dopo averlo potuto salutare per l'ultima volta,
lei che era disperata trova pace e riprende a vivere. Lei crede
veramente che un miracolo così sia possibile?
Non è che se scrivo qualcosa, questo vuol dire che io credo possa
accadere davvero. Io avevo voglia di scrivere la situazione di una
ragazza in un giorno di freddo, di freddo terribile, una ragazza che
ha freddo da morire e si sente sola e disperata in quel paesaggio
gelido e invernale, e di qualcosa che all'improvviso le scalda il
cuore. Era solo questo che avevo in mente.
Crede all'amore eterno? Un amore che dura
tutta la vita?
Per la coppia l'amore diventa sempre qualcos'altro, e qualunque forma
prenda può durare solo se coltivato con molta pazienza e cure. Ma
l'amore che dura è famoso in un senso più profondo, assoluto,
l'amore per l'umanità; per la
vita; l'amore non egoistico. Ho paura che sembri una di quelle cose
che si dicono tanto per dire, ma è proprio quello che penso.
In alcuni suoi libri lei tratta anche il
rapporto con civiltà diverse, per esempio l'Egitto. In che modo i
contatti con queste civiltà la cambiano?
Mi cambiano? Non lo so. Sicuramente entrano in me in qualche modo,
come tutto quello che percepisco, ma non ne ho una cognizione precisa.
Anch'io sono una scrittrice, cioè cerco
di scrivere. Ma ci sono momenti di blocco. Vorrei chiedere se capitano
anche a lei, e come li risolve.
Mi succede. Ascolto la musica... Penso che in questi casi sia meglio
non scrivere di esperienze che non ci riguardano, che sono molto
lontane da noi, come la vita di una rockstar o cose del genere. Ma se
si deve farlo, allora metterci qualcosa che avvicini a noi quel
personaggio. Per esempio, se mi
piace la cioccolata, raccontare che a quella rockstar piace la
cioccolata, È un modo per creare un collegamento con la nostra vita,
e ci aiuta ad andare avanti.
La conversazione termina qui. Banana
saluta gli studenti che le tributano un lungo, lunghissimo applauso.
Di nuovo cerchiamo faticosamente di farci strada tra la folla. Ma una
piccola folla ci insegue fino a Piazza Municipio, e ci aspetta fuori
dal bar dove ci siamo rifugiati, anzi i più irriducibili entrano
anche dentro. C'è tra i ragazzi una signora anziana, agitatissima,
che accompagna una signorina giapponese sua ospite dai capelli
cotonati e laccati (una modella di kimono, ci spiega, e non capiamo
bene cosa significhi) e ci chiede un autografo per lei. Per principio
insistiamo che basta, di autografi Banana non ne firmerà più, e si
crea una querelle tra me, la segretaria di Banana e la signora, mentre
la sua ospite giapponese in giapponese ci chiede di ignorare la
richiesta della signora
che l'ha portata lì contro la sua volontà. Essendo modella di
kimono, ci spiega, capisce benissimo la posizione di un'artista e non
vuole importunare.
Due giorni dopo siamo al Molo Beverello, a comprare i biglietti per
l'aliscafo per Capri. C'è un vento tale che pare che le corse siano
state interrotte, ma da un momento all'altro dovrebbero riprendere. C'è
un vento tagliente, siberiano, nel porto inondato da una luce
splendida e accecante.
Tutto è troppo nitido. Non ho mai visto il Molo Beverello così
deserto. E in quella scena metafisica così insolita per Napoli,
tutt'a un tratto, gran colpo di scena, si materializzano dal nulla la
signora anziana e la sua ospite giapponese dai capelli cotonati e
laccati che il vento non smuove di un millimetro. La signora si scusa
per l'aggressione del giorno prima, ci racconta molte cose in pochi
secondi, la giapponese si inchina dopo averci distribuito i suoi
biglietti da visita, la scena ritorna di nuovo deserta. Le abbiamo
sognate?
"Ecco, questo è quello che volevo dire l'altro giorno. Sono
queste le cose che mi succedono. Non è proprio come vedere fantasmi o
piegare cucchiaini, ma come incontro è stato abbastanza paranormale,
non pensi?" mi dice Banana.
Io faccio sì con la testa, mentre la sua risata è inghiottita dal
vento siberiano.
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