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Fumetti Bonelli  Dampyr

Dampyr  

     
     

Dampyr : La vocazione dell'Eroe

Scoprirsi eroe non è più un problema. Finiti i rocamboleschi rientri di Peter Parker dalle finestre per non farsi beccare da zia May con la calzamaglia da Uomo Ragno, finite le elucubrazioni di Matt Murdock su quanto sia difficile essere Daredevil, finiti i dubbi laceranti che a volte hanno portato Colosso e Ciclope lontano dagli X-Men. Il Dampyr di Maurizio Colombo e Mauro Boselli non ha più grossi problemi con la sua identità. Anche se forse dovrebbe…

Nel primo albo della serie, “Il figlio del diavolo” (aprile 2000), il sedicente ammazzavampiri Harlan Draka, professione imbroglione, scopre a pagina 68 di essere davvero un “dampyr”, ibrido fra un’umana ed un vampiro, il cui sangue è letale per queste creature della notte. Fin da piccolo gli era stato detto che sua madre - morta nel metterlo al mondo -  era una strega, ma lui aveva sempre creduto che si trattasse dei pregiudizi e della condanna contro una donna congiuntasi durante la guerra con un soldato nemico. Beh, almeno ora sa di essere stato discriminato per qualcosa di più concreto…e si spiega perché nonostante i suoi 50 anni dallo specchio gli sorrida un affascinante trentenne.

Se non fosse per il sogno che precede la sua prima apparizione, e che fornisce al lettore la presentazione “onirica” ma corretta del personaggio, il nostro “eroe” farebbe veramente una magra figura. Se è vero che a partire dagli anni Settanta in casa Bonelli è d’uso attribuire al protagonista difetti smitizzanti ed esperienze personali che lo hanno portato in regioni oscure dell’animo umano, come l’alcolismo di Dylan Dog e il tradimento di Nathan Never, questo è comunque un caso particolare. In quelli citati, infatti, la “cosa brutta” era nota al lettore perché menzionata dal protagonista o da altri vicino a lui, poi ripresa tramite flash back più approfonditi, fino al caso del Dylan ubriaco per terra del recentissimo “Numero Duecento”; insomma l’avvenimento che aveva segnato i personaggi in questione era avvenuto prima, il lettore non aveva mai conosciuto il Dylan o il Nathan precedenti a quegli avvenimenti, ovvero già sicuramente esseri che avevano in nuce tante potenzialità bellissime, ma che non avevano ancora attraversato le esperienze che li avrebbero resi ciò che il lettore ama. Con Dampyr è diverso, perché muta sotto i nostri occhi, la nascita dell’eroe avviene davanti a noi!

La carta da visita di Harlan Draka nel numero 1 riporterebbe “sedicente uccisore di vampiri al fine di truffare contadini creduloni”. Anche Dylan Dog è definito dalla stampa ciarlatano, ma il lettore lo ha visto in azione e sa che non è un imbroglione. Beh, invece Harlan per primo ammette di esserlo, per quanto in maniera disincantata e non da cinico orgoglioso di esserlo: di necessità virtù…Il lettore sa però che, nonostante i suoi trucchi da 4 soldi, qualcosa di oscuro e speciale in lui c’è veramente: la prima volta che Harlan si vede in carne ed ossa sta impalando un cadavere per ottenere qualche pollo (!), ma la sua vera prima apparizione è nei panni di un neonato definito “sangue stregato”. Questa è una comunicazione che passa tra autore e lettore, ma della quale il personaggio non è consapevole: infatti, quando si accorge che il suo sangue brucia veramente i vampiri, è il primo a stupirsene e chiede spiegazioni a Tesla. La sua prima reazione è “non so perché il mio sangue è veleno per loro. E questo mi fa paura”. Comunque ormai che non sia del tutto normale è evidente…anche se scoprirsi mezzo demoniaco non è una cosa simpatica, nemmeno per un ex soldato allo sbando in un paese devastato dalla guerra civile. Conferisce un patentino di eccezionalità, sì, ma anche in senso negativo: non è solo un uomo, è un essere superiore…ma è anche un mostro. Ora si ritrova accomunato dal suo stesso sangue ad una stirpe mostruosa. Forse era meglio restare a fare l’imbroglione, tanto più che utilizzare il suo sangue per sconfiggere il maestro vampiro Gorka lo fa sentire, per sua definizione, ridicolo.

Per far assumere al personaggio il ruolo di persecutore della stirpe oscura (di cui fa parte il suo babbo, freudianamente) gli sceneggiatori ricorrono all’espediente narrativo della “questione personale”. Anche Peter Parker (Spiderman) e Akira Fudo (Devilman) non avevano troppa voglia di ergersi a baluardo dell’umanità, e a Stan Lee e Go Nagai è toccato far fuori persone loro vicine per dargli la spinta definitiva…figuriamoci se un imbroglione che vive alla giornata era disposto a far l’eroe da subito. Ed ecco che a pagina 98 Colombo e Boselli gli uccidono il fido, giovane, innocente Yuri, anzi peggio: glielo trasformano in non-morto e tocca proprio a lui ucciderlo. Da qui, il giuramento di Harlan di vendicarsi e annientare la stirpe dei vampiri. Meno parole di Tex sulla tomba della moglie Lilith, ma più fatti: già dal numero 2 Harlan è come un mastino sulle tracce del Maestro della Notte che gli ha portato via l’amico, e lo annienta.

La spintarella gli autori gliel’hanno data, ma a questo punto lui è partito per la tangente: ha votato la vita alla sua nobile missione, assumendo su di sé il peso mica da ridere della tutela dell’umanità intera. Bella fregatura: impossibile avere una donna fissa, un lavoro normale, un attimo di pausa, addio ai sani egoismi che connotano ogni essere umano. E, come compenso, una parte di sé molto oscura con cui fare i conti… Non un attimo in cui Harlan senta che queste responsabilità lui proprio non le vuole. Stuzzicato sulla rapidità con cui questo processo si compie, Maurizio Colombo mi ha detto: “Il dubbio è un buon trucco narrativo per dare maggiore incisività allo shut down finale, al moto di vendetta, al ripristino del ruolo del buono, ma alla fine non credo si debba tirarlo troppo per il lungo. Neanche farla troppo breve? Beh, essere eroe è una vocazione, quando uno si trova davanti alla rivelazione di ciò che è deve assumerlo pienamente”. 

   

Harlan è stato chiamato, ed ha risposto. Da questo momento, è una questione pratica: affinare le abilità telepatiche (numero 2), trovarsi un quartier generale (numero 5), andare a scovare i mostri, siano essi vampiri o spettri malefici o simili. Come dice nel numero 4 “sono un dampyr, è la mia natura, non posso permettere che quei mostri vivano”.

Harlan è un personaggio particolare, che racchiude in sé due nature e dunque è intrinsecamente ambiguo, eppure d’altro lato è anche semplicemente manicheista: sospeso fra bene e male per nascita, ha scelto, e la sua scelta è chiara e definitiva (“noi abbiamo una missione, siamo l’esercito del bene contro il male” dice nel numero 7). Per ricordarsi delle sfumature del suo carattere, gli autori gli hanno fornito come spalla un ex soldato, ovvero ciò che da molti indizi si arguisce fosse Harlan prima, e una vampira, ovvero ciò che Harlan avrebbe potuto essere se non avesse scelto il bene, quando in sogno il padre venne a prenderlo (vedi numero 2). Il lato oscuro di Tesla, pur sempre costretta a nutrirsi di sangue umano, è “giustificato” abilmente. Ha detto Colombo: “Notate che uccide solo personaggi disgustosi e cattivi, quel tipo di persone che nelle nostre menti spesso abbiamo sentito come non degne di vivere. E’ per questo che non fa orrore, che questo lato così terribile passa quasi inosservato: è crudele, ma a suo modo fa pulizia e giustizia”.

Insomma, dal numero 2 in poi Harlan diventa, pur con la sconvolgente rivelazione che ha avuto e con le immense conseguenze che essa comporta, uno che – per definizione di Boselli – “mena, non se la mena!”. Nel numero 13 a pagina 63 abbiamo una sua immagine sorridente mentre si prepara a stanare una strega: con le idee chiare che ha, una volta instaurata la dicotomia buoni/cattivi non si salva più nessuno, nemmeno il padre una volta che lo avrà trovato (promessa del numero 3), ed è facile individuato il nemico partire alla sua ricerca. In questo Dampyr ricorda decisamente Tex e il suo “giudice Colt”, piuttosto che Dylan Dog, dove i mostri sono la concretizzazione dei mostri interiori e i dubbi sono tali e tanti che per il mostro si prova pietà, non odio.

Comunque la doppia natura era un espediente narrativo troppo gustoso per non tornarci su, così dopo molti albi in cui i sogni ed i flash back che inquietavano Dampyr e lo spingevano ad interrogarsi su di sé sono scomparsi, e con essi il tormento dell’idea del padre, gli autori rimettono il nostro eroe davanti ad una scelta. Avviene nel numero 23, “L’elisir del diavolo”. Dante docet, bisogna finire all’Inferno per riconquistarsi, tutto dev’essere messo in discussione almeno una volta perché le cose vengano assunte più consapevolmente Ma lui ci ha messo un bel po’ di canti, qui a dire il vero tutto avviene in modo così repentino da risultare deludente. A pagina 42 Harlan pronuncia frasi come “Mio padre, Amber, Lamiah, non ho provato odio per loro, li ho sentiti miei simili. A volte ho paura di tradire l’umanità”. Date tali premesse, il resto dell’albo concepito da Boselli non poteva che procedere in maniera poco rassicurante: a Dampyr viene somministrato l’elisir del diavolo, che lo porta interamente dalla parte del male, regalandoci una visione del nostro eroe con canini sporchi di sangue. Kurjak si demotiva e Caleb (bell’amico, dopo che si era detto sicuro che Harlan non sarebbe caduto vittima delle tentazioni vampiresche!) lo dà praticamente per spacciato, ma ecco che repentinamente e – perché? – fuori campo avviene il ritorno di Harlan in seno al bene. Il tempo di vederlo in crisi d’astinenza da sangue a pag. 86, furibondo e dolorante, intrappolato da Nikolaus che vuole salvarlo…e ce lo ritroviamo a pag. 91 completamente tornato in sé. Beh, personalmente mi aspettavo un po’ più di suspense, di dilaniamento interiore…sono melodrammatica?

Per fortuna il filone narrativo dell’identità di Dampyr resta vivo, e Boselli ci regala ancora un numero 27 incentrato sul rapporto col padre e quindi con le proprie origini demoniache. Fino al numero 32 (novembre 2002, “Gli insaziabili”) in cui Dampyr, clamorosamente, perde! E quell’ossigenato di Caleb, giusto per aggiungere frustrazione alla frustrazione, rende noto che lui aveva presente che l’avversario non fosse battibile, ma ha usato Harlan per distruggere quelli alla sua portata. Grazie! Per quanto riguarda lo scontro fra il demone Torke e Dampyr, in effetti da tempo ci si chiedeva come facesse quest’ultimo ad avere il culo spudorato di uscire sempre vincitore dal confronto con vampiri dalla millenaria esperienza. Nel numero 3 e in altri vaghi riferimenti sparsi qua e là si diceva che erano esistiti nei secoli un altro paio di dampyr, che avevano fatto una brutta fine…nessuno si è mai chiesto quale?! Comunque una bella botta ci voleva, prima che il nostro Dampyr assumesse una dimensione troppo supereroistica, imbattibile ed infallibile. Per sottolineare lo smacco, e renderlo non solo senso del proprio limite ma anche rimorso per non essere stato all’altezza del compito, Colombo ha usato lo stesso espediente narrativo del numero 1, quando aveva fatto morire Yuri: le persone catturate dal demone sono una bimba e sua madre, una gentile signora che Harlan ha preso fra le braccia e baciato. Chiameremo l’espediente “farne una questione personale” anche se, dato il poco spazio per svilupparlo, questo nucleo resta un po’ buttato lì. Certo che vedere il proprio eroe a testa china, accasciato su se stesso ed il proprio fallimento, è uno spettacolo che necessita di un po’ di tempo per essere digerito, così da qualche tempo ci propinano storie di fantasmi, in cui per lo più Harlan agisce da solo e più che altro come scusa per narrare una storia altra, che non lo ha veramente per protagonista, oppure divagazioni in altre epoche. E’ il giusto equilibrio di questo fumetto in fondo, che miscela a nuclei narrativi “caldi” distensive pagine tutte azione; è l’altalena che fa attendere con più gusto un nuovo scontro significativo o il ritorno del tenebroso padre, che se non diluiti verrebbero decisamente a noia.

 

Articolo a cura di Camilla

 

Per le immagini :© Sergio Bonelli Editore


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Ultima modifica : 16/03/08 18.43.17

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